E’ il 24 Ottobre del 1976 quando si corre l’ultimo Gran Premio di un’annata che ha vissuto momenti drammatici e di grande tensione. Il GP spartiacque è stato quello del Nurburgring: il gravissimo incidente occorso a Niki Lauda ha riaperto la corsa al titolo a causa della forzata assenza del pilota austriaco, costretto a saltare sia la gara di casa, che quella d’ Olanda.
A tempo di record, Lauda rientra a Monza, cogliendo un formidabile ed insperato quarto posto, che unito al ritiro del rivale James Hunt sembra avvicinarlo al titolo. Ma nelle gare successive Hunt coglie due vittorie, in Canada e negli Stati Uniti, ed alla vigilia del gp del Giappone solo tre punti lo dividono dal pilota della Ferrari.
Nelle prove svetta Mario Andretti, ma i duellanti sono subito dietro, Hunt secondo e Lauda immediatamente alle spalle. Tutto sembrerebbe sotto controllo, ma il giorno della gara, che si svolge sul circuito del Fuji, alle pendici del monte più alto del Giappone, pioggia e nebbia imperversano.
Le condizioni della pista sono pessime e il fronte dei piloti si divide: chi ha effettuato un giro di prova, come Tom Pryce, ritiene non si possa correre e come lui la pensano Fittipaldi, Lauda, Jarier, Pace ed anche lo stesso Hunt è molto scettico, mentre altri piloti come Brambilla, Stuck ed i piloti giapponesi sono del parere opposto.
In mezzo, gli organizzatori, che propongono di spostare la gara al giorno successivo. Alla fine, dopo un rinvio di quasi due ore, la gara parte sotto un diluvio impressionante. L’acqua sollevata dalle vetture rendeva la visibilità nulla, Hunt si portò subito al comando seguito da Watson, Andretti, Scheckter e Brambilla.
Al secondo giro, Lauda, che aveva perso parecchie posizioni, rientrò ai box e si ritirò. L’ingegner Forghieri gli propose di giustificare il ritiro con un problema tecnico, ma Niki rifiutò l’offerta e ammise in modo molto onesto di non essersela sentita di assumersi rischi che andavano oltre ogni ragionevolezza.
Per sperare nella conquista del titolo bisognava contare sul fatto che Hunt non arrivasse nei primi quattro, cosa molto difficile visto che solo Brambilla, prima di andare in testacoda, sembrava reggere il passo dell’inglese. Dietro di lui era battaglia tra Andretti, Watson e Depailler con Mass e Pryce in rimonta.
Quando smise di piovere le carte sembrarono rimescolarsi, Hunt andò in crisi con le gomme subendo il sorpasso di Depailler, penalizzato poi da una foratura, ed Andretti. Il box McLaren commise l’errore di non richiamare subito Hunt per il cambio gomme che avvenne solo a quattro giri dalla fine.
Quando il pilota inglese tornò in pista in quinta posizione si pensò che Lauda potesse ancora riuscire a laurearsi campione, ma grazie alle gomme nuove, Hunt riuscì a superare Regazzoni e Jones e si issò in terza posizione alle spalle di Andretti e Depailler ed i quattro punti gli consentirono di diventare campione del Mondo.
La cosa curiosa fu che il pilota inglese quando tagliò il traguardo non sapeva di aver vinto il titolo in quanto non sapeva in che posizione avesse terminato la corsa. Due situazioni opposte: da un lato il box McLaren in festa per un titolo vinto in modo insperato, dopo un inizio di stagione caratterizzato da ritiri e squalifiche e che senza l’incidente del Nurburgring non sarebbe arrivato, dall’altro il box Ferrari dove oltre alla delusione, veleni e polemiche erano ai massimi livelli.
Con il senno di poi, si dovette riconoscere che non schierare subito una seconda vettura per sostituire Lauda durante la sua pur breve convalescenza si era rivelato un errore. Il commendator Ferrari aveva in realtà pensato a Ronnie Peterson, velocissimo ed esperto, anche in previsione dell’anno seguente, quando Regazzoni avrebbe lasciato la Ferrari, ma la cosa aveva infastidito molto Lauda, che una volta venuto a conoscenza della cosa aveva affrettato il rientro, convincendo Ferrari a ripiegare sul più tranquillo Reutemann, che corse a Monza con la terza vettura.
Inoltre, nell’ultima gara Regazzoni, al passo d’addio, non era stato supportato al massimo e il suo impegno ad evitare il sorpasso di Hunt era sembrato ai più molto limitato. Una parte della squadra in modo sommesso accusava Lauda di aver avuto paura, sentimento umanamente comprensibile ai comuni mortali, ma difficilmente giustificabile per un pilota.
In realtà, Niki Lauda non ricollegava la sua decisione di fermarsi all’incidente occorsogli al Nurburgring, ma alle condizioni della pista e alla visibilità che a suo dire erano aldilà di ogni canone di sicurezza. “La Ferrari non mi paga per ammazzarmi” disse. Il suo fu in realtà un gesto coraggioso: Lauda non ebbe paura di fare la parte del pavido, ma fece capire a molti suoi colleghi, sempre pronti a piegare la testa davanti ai team manager, che il pilota deve far sentire la sua voce in ambito di sicurezza.
Certo, Niki dall’alto del suo carisma e della sua personalità non ha mai avuto paura di scontrarsi con personalità forti, come dimostrò un anno dopo il burrascoso divorzio dalla Ferrari dopo aver vinto il titolo o l’improvviso ritiro dalla F1 nel 1979, quando lasciò il team di Bernie Ecclestone dopo le prove libere del Gp del Canada.
In Formula Uno ritornò tre anni dopo e smentendo molti critici fu ancora vincente e con la McLaren conquistò il suo terzo ed ultimo titolo nel 1984, sconfiggendo il compagno di squadra Alain Prost di mezzo punto.
Lo si può amare o detestare, ma Niki Lauda non sarà mai banale.