In questi giorni tutti gli organi di stampa hanno dato molto risalto alla notizia del ritorno in F1 del marchio Alfa Romeo, che si legherà con un progetto pluriennale al team elvetico Sauber. Ma siamo sicuri che ci sia da essere contenti di tutto questo?
Forse bisognerebbe fare un passo indietro, anzi molti passi indietro, e tornare a quando tanti anni fa il glorioso marchio del Biscione ha visto la luce e nel giro di pochi anni, in un’epoca ancora pionieristica dell’automobile, ha cominciato a far parlare di se sulle strade e sui circuiti di tutto il mondo, portato alla vittoria in competizioni che hanno fatto la storia dell’automobile.
La Targa Florio, ma soprattutto la Mille Miglia, che vide la casa milanese trionfare per ben dieci volte in undici anni dal 1928 al 1938, pilotata dai più importanti piloti dell’epoca tra cui Antonio Ascari, Giuseppe Campari, Ugo Sirocci e lo stesso Enzo Ferrari, che successivamente avrebbe fondato la casa di Maranello.
Trionfi in serie negli anni ’30 giunsero anche alla Targa Florio e alla 24 ore di Le Mans e nel dopo guerra le prime due edizioni del campionato Mondiale di F1 videro la vittoria dell’Alfa Romeo, prima con Nino Farina e poi con il fuoriclasse argentino Juan Manuel Fangio, che con la vettura del Biscione vinse il primo dei suoi cinque titoli mondiali.
Il ritiro dalla F1 fin dall’anno successivo non segnò l’abbandono delle competizioni: nei rally con la Giulietta vennero ottenuti importanti successi, come la vittoria al Mille Laghi, ma fu soprattutto in pista nelle gare Turismo che l’Alfa Romeo, grazie alla Giulia Gta, ottenne successi internazionali negli anni Sessanta e nel decennio successivo, grazie al modello T33, giunse la vittoria nel campionato Mondiale Prototipi, con al volante piloti del calibro di Arturo Merzario, Vittorio Brambilla, Jackie Ickx, Jochen Mass, Henri Pescarolo, in un’epoca dove anche gli assi della F1 si cimentavano in questo campionato.
Campionato che per mezzo della presenza di costruttori come Matra, Ferrari, Porsche e Renault riscuoteva un successo di pubblico pari a quello della F1, categoria della quale l’Alfa Romeo sentiva sempre nostalgia al punto che, dopo sporadiche comparse come fornitore di motori all’inizio degli anni Settanta e dopo la partnership con il team Brabham per la fornitura ufficiale di motori, nel 1977 la casa italiana annunciò il rientro con una vettura interamente sua, i cui collaudi furono affidati a Vittorio Brambilla, il pilota monzese che nel 1979 avrebbe dovuto portarla al debutto.
Purtroppo, l’incidente nel quale fu coinvolto alla partenza del Gp d’Italia del 1978 proprio sul circuito di casa, mutò i piani e il debutto in pista avvenne con un altro pilota italiano, Bruno Giacomelli. Un anno di apprendistato, mentre terminava l’esperienza con il team Brabham, nella quale il pilota italiano si trovò a fare i conti con una vettura molto pesante e poco competitiva.
L’anno successivo però grazie all’impegno profuso dallo sponsor Marlboro e grazie all’arrivo dell’esperto pilota francese Patrick Depailler, che seppur reduce da un infortunio con il deltaplano che aveva compromesso la sua stagione precedente alla Ligier era ritenuto un ottimo collaudatore, le cose migliorarono. Ma il destino non aveva ancora finito di accanirsi contro questa nuova esperienza in F1 del Biscione.
Il primo Agosto, durante una sessione di prove private sul circuito di Hockenheim, il pilota francese uscì di pista alla Ost Kurve e a causa della assenza delle recinzioni, la sua vettura si ribaltò sul guard rail e per lui non ci fu scampo. Un colpo durissimo per la squadra e per il suo compagno Giacomelli con il quale si era creato un ottimo rapporto di collaborazione ed amicizia, ma le indicazioni nello sviluppo della monoposto date da Depailler erano giuste e pochi mesi dopo Bruno Giacomelli conquistò la pole position nel Gp degli Usa Est, sul terribile circuito di Watkins Glen.
Mantenuta la testa della gara alla partenza, grazie ad un passo irresistibile per gli avversari, il pilota bresciano sembrava lanciato verso la vittoria, ma a due terzi di gara, per un problema alla bobina, il motore della sua Alfa Romeo si ammutolì, privandolo di una vittoria meritata che sarebbe stata storica, sia per lui, che per il Biscione.
Seguirono annate altalenanti, che partivano con grandi promesse, ma spesso terminate con delusioni, nonostante la presenza di piloti del calibro di Mario Andretti, Andrea De Cesaris e Mauro Baldi. Non aiutarono le nuove regole sulla limitazione del consumo, perché il dodici cilindri progettato dall’ingegnere Carlo Chiti era potentissimo ma non di certo parco nei consumi e di li a poco il rapporto tra il vulcanico ingegnere toscano e i vertici dell’Alfa Romeo si incrinò.
Negli ultimi anni le vetture furono gestite da una struttura esterna, l’Euroracing, con la quale l’Alfa Romeo aveva rapporti come fornitore di motori fin dalla F3, ma i risultati, nonostante la presenza di Riccardo Patrese ed Eddie Cheever, non arrivarono e a fine 1985 l’esperienza si concluse.
Il passaggio poi dell’Alfa Romeo all’interno del gruppo Fiat, avvenuto nel 1986, portò ad un ridimensionamento del programma F1, con una semplice fornitura di motori al team Osella per poi essere abbandonato definitivamente, quando si decise di spostare il marchio in altri ambiti.
Venne creato il progetto Formula Cart, che portò Alfa Romeo a cimentarsi nella serie americana, in realtà con poca fortuna, per poi invece tornare all’antico con le gare turismo, sia in Germania, dove al debutto con la 155 Nicola Larini vinse il titolo Dtm, l’impegnativa serie tedesca, battendo avversari del calibro di Mercedes e Bmw, sia poi con il campionato Europeo Turismo dove giunsero vittorie in serie.
Poi le strategie del Gruppo Fiat portarono ad un ridimensionamento del marchio Alfa Romeo che per molti anni è stato lontano da quello che è il suo palcoscenico più importante, quello delle competizioni automobilistiche.
Ora il ritorno, ma si tratta di un reale ritorno, oppure dietro a questa operazione annunciata con tanta enfasi dall’amministratore di FCA e molto rilanciata dai media c’è solo un’operazione di marketing, che può essere utile a livello pubblicitario ma che non porterà nulla al prestigio di Alfa Romeo?
Noi crediamo che sia cosi, del resto i motori saranno motori Ferrari con il marchio Alfa Romeo che di fatto sarà partner commerciale, cioè sponsor, di Sauber, team dal passato importante, ma dal presente incerto sia economicamente che dal punto di vista sportivo.
Ci aspettavamo che il rilancio di Alfa Romeo, nel momento in cui sono stati presentati nuovi modelli, passasse da un impegno diretto in pista e crediamo che con la Giulia si potesse tentare di cimentarsi nel WTCC oppure nel DTM, anche per aiutare il Biscione a promuovere i suoi modelli sul mercato, perché, caro Marchionne, Alfa Romeo è un marchio che ha fatto la storia dell’automobilismo e merita rispetto, come lo meritano gli estimatori che vanta in tutto il mondo, un rispetto che ha conquistato con anni di successi sui circuiti e che nessuno può permettersi di svilire con simili operazioni pubblicitarie.