Michele Alboreto è stato negli anni Ottanta una delle punte di diamante dell’automobilismo italiano. Nato a Rozzano, alle porte di Milano, il suo debutto avvenne nel 1975 nella Formula Monza, con una vettura costruita con un gruppo di amici.
I risultati furono deludenti, ma il suo entusiasmo contagiò gli addetti ai lavori, tra tutti il pilota Mario Simone Vullo, grazie al quale Alboreto riuscì a debuttare nella Formula Italia, categoria che, oltre ad essere l’anticamera della F3, era un passaggio fondamentale per i giovani piloti. Da qui il passaggio nel campionato italiano di F3 con il team Euroracing, con il quale sarà vice campione nel 1979, per trionfare l’anno successivo nell’Europeo, sempre F3, battendo dopo una lunga rincorsa il belga Thierry Boutsen.
Questi risultati lo fecero entrare nell’orbita di vari team manager di F1, mentre contemporaneamente Alboreto disputava il Campionato Europeo di F2, con il team Minardi e il campionato Endurance con il team Lancia.
Fu Ken Tyrrell a dargli la possibilità di debuttare in F1 in occasione del Gp di San Marino ad Imola e pur in condizioni di scarsa competitività del mezzo, il pilota milanese dimostrò quelle capacità di messa punto e di collaudo che fin dalle categorie minori gli venivano riconosciute e che gli valsero la riconferma per l’anno successivo.
Nella F1 dove ormai i motori turbo stavano prendendo il sopravvento, l’affidabile ma poco potente Cosworth utilizzato dalla Tyrrell non permetteva di lottare per la vittoria, se non sui circuiti cittadini e quando si presentò l’occasione Alboreto non si lasciò scappare la vittoria, la prima, a Las Vegas, nel 1982, mentre la seconda ebbe luogo a Detroit l’anno successivo.
Le parole lusinghiere nei suoi confronti da parte del Commendator Ferrari fecero ben presto capire che dopo tanti anni un pilota italiano sarebbe tornato in Ferrari. E così fu.
Ma purtroppo il primo anno nonostante le grandi aspettative fu deludente, eccezion fatta per il trionfo di Zolder, lo strapotere del binomio McLaren Tag Porsche non lasciò scampo agli avversari.
Diversamente, l’anno seguente Alboreto partì alla grande e grazie alle vittorie in Canada e al Nurburgring si portò al comando del campionato, grazie alle difficoltà di Prost. Ma nella seconda parte del campionato la Ferrari perse prima la competitività e successivamente l’affidabilità e una serie interminabile di ritiri impedì a Michele di lottare per il titolo, dovendo accontentarsi del secondo posto.
Iniziò il declino per il team di Maranello, anche a causa di problemi di gestione politica del team: l’arrivo dalla McLaren del progettista John Barnard spaccò il team in due clan ed Alboreto, poco in sintonia, si trovò ben presto ai margini. La scomparsa di Enzo Ferrari, avvenuta nell’Agosto del 1988, fece capire al pilota italiano che il suo tempo in Ferrari era finito.
Gli anni successivi nel Circus non furono particolarmente positivi: dapprima il ritorno alla Tyrrell, durato pochi mesi, poi le esperienze negative con Larrousse, Arrows, Footwork e Scuderia Italia. Il tragico 1994 fu l’ultimo suo anno in F1 al volante della Minardi, con la quale fu protagonista suo malgrado durante il Gp di San Marino del drammatico ferimento di alcuni meccanici, colpiti in corsia box da una ruota staccatasi dalla sua vettura.
Molto sensibile ai problemi della sicurezza, testimoniò al processo Senna per sostenere le tesi dell’accusa e con grande decisione affermò che le oscillazioni del volante della vettura di Senna erano anomale e che non poteva accettare che qualcuno volesse sostenere la tesi dell’errore del pilota brasiliano.
Terminata la carriera in F1, Alboreto, da pilota completo ed eclettico qual era, diversificò il suo impegno inizialmente nel Dtm con l’Alfa Romeo e successivamente in America, sia nel Campionato Imsa, sia nell’Irl, il campionato di Formula Indy che si svolgeva sugli ovali con risultati lusinghieri.
Ma fu soprattutto con le ruote coperte che Michele Alboreto ottenne grandi soddisfazioni, come la vittoria alla 24 Ore di Le Mans nel 1997 con una Porsche insieme a Johansonn, che era stato suo compagno in Ferrari e a Tom Kristensen.
Nel 1999 entrò con il team Joest nell’orbita Audi con la quale puntava a vincere quel titolo mondiale che gli era sfuggito tanti anni prima con la Lancia e con la quale ottenne le ultime vittorie della sua carriera, la Petit Le Mans del 2000 e l’anno successivo la prestigiosa ed impegnativa 12 Ore di Sebring.
Sembrava essere il suo anno, ma purtroppo il destino aveva scritto un finale diverso e tragico. Il 25 Aprile, lo stesso giorno che tanti anni prima ad Imola lo aveva fatto conoscere al grande pubblico con il suo primo podio, durante una sessione di test in preparazione alla 24 Ore di Le Mans, sul circuito del Lausitzring, il progressivo afflosciarsi di uno pneumatico causò lo schianto che lo portò via.
Rimane il ricordo di un grande pilota, di un uomo leale e sincero sempre pronto a difendere le sue idee, i suoi principi, riguardo la sicurezza sui circuiti ed impegnato a promuovere progetti per i giovani piloti, perché non aveva dimenticato che per chi come lui non disponeva di mezzi era difficile coronare il sogno di correre nelle categorie maggiori. Per tutto questo e per tanto altro, grazie Michele.