Tra pochi giorni compirebbe ottanta anni e di lui si ricorda la sua unica vittoria in F1 avvenuta nel Gp d’Austria del 1975 a Zeltweg, ma Vittorio Brambilla è stato un pilota di talento e di grande coraggio, eclettico al punto tale da cimentarsi con successo sia nelle ruote scoperte, che in quelle coperte.
Nato a poche centinaia di metri dal circuito per eccellenza, Monza, la passione gli fu trasmessa dal padre e dal fratello che gestivano un’officina meccanica. Non disponendo di grosse risorse, all’inizio la famiglia si concentrò sulla carriera del fratello Tino, mentre Vittorio si dedicò inizialmente ai kart ed alle moto, partecipando anche nel 1969 al Gp delle Nazioni con una Paton.
Con il passaggio del fratello alla F2, Vittorio decise di debuttare nel campionato di F3 del quale divenne campione italiano, per poi prendere il volante della F2 del fratello l’anno successivo. Fu però nel 1973 che grazie alla passione dello sponsor Beta ed alla possibilità di acquistare la nuova March 732 arrivarono le prime vittorie.
Contemporaneamente, cominciò il suo impegno anche nel Campionato Turismo con la Bmw, con la quale ottenne significativi risultati. Di lui spiccava in modo particolare l’abilità quando la pista era bagnata, ma erano notevoli anche le capacità di messa a punto del mezzo, frutto dell’esperienza e delle conoscenze meccaniche che aveva acquisito a stretto contatto con il padre ed il fratello maggiore nell’officina di famiglia.
Sentendosi pronto al grande salto in F1, dopo un colloquio non andato a buon fine con il Commendator Ferrari, nel 1974 il buon lavoro portato avanti in F2 con la March gli aprì le porte della categoria maggiore l’anno successivo. Fu una stagione di apprendistato nella quale tuttavia Vittorio riuscì ad ottenere il primo punto iridato nel Gp d’Austria, quasi un segno del destino.
Un segno del destino, visto che l’anno successivo con la sua March arancione numero 9 avrebbe ottenuto la sua prima ed unica vittoria sotto il diluvio, in una giornata segnata dal grave incidente occorso nel warm-up al pilota americano Mark Donohue che a seguito delle ferite riportate sarebbe spirato qualche giorno dopo. Un incidente dovuto allo scoppio di un pneumatico della sua vettura, nel quale perse la vita anche un addetto del circuito.
Erano altri tempi, la corsa si svolse ugualmente e quel giorno tutti i più affermati campioni da Lauda, a Peterson, da Fittipaldi ad Hunt, dovettero inchinarsi davanti alla sensibilità di guida e al coraggio di questo pilota italiano non più giovane ma quasi all’esordio in F1. La sua rimonta fatta di sorpassi straordinari al volante di una vettura non certo performante come Ferrari e McLaren è passata alla storia.
Purtroppo, per motivi di sicurezza, la gara venne interrotta al 29° giro e non più ripresa e non avendo percorso il settantacinque per cento della distanza venne assegnato metà punteggio. Ma la giornata d’oro di Vittorio verrà ricordata per un altro episodio singolare ed unico.
Infatti, tagliando il traguardo, preso dall’entusiasmo il pilota italiano alzò le braccia al cielo e sull’asfalto allagato perse il controllo dell’auto finendo contro le barriere e distruggendo il musetto della sua March. Il tutto si risolse senza conseguenze ma rimase nella storia della F1 e il musetto danneggiato trovò posto nell’officina paterna, come ricordo di una giornata indimenticabile.
Sfortunatamente, in F1 non ce ne furono altre, in quel 1975 Brambilla ottenne una vittoria nel Campionato Europeo di F2, poi i rapporti con la March nell’anno successivo si incrinarono anche per la difficile coesistenza con il pilota svedese Ronnie Peterson, e nel 1977 Brambilla si trasferì alla Surtees, monoposto però poco competitiva con la quale solo quando l’asfalto era bagnato poteva ottenere discreti piazzamenti.
Tuttavia, la sua capacità ad adattarsi a vetture completamente diverse, lo portò ad entrare nel team Alfa Romeo impegnato nel campionato mondiale Sport Prototipi, disciplina automobilistica all’epoca molto seguita per la presenza di grandi costruttori come Alfa Romeo, Porsche, Renault, Matra, in cui Vittorio contribuì alla vittoria del titolo Mondiale costruttori.
Oltre alle sue innegabili capacità di guida, Brambilla faceva valere la sua grande abilità di collaudo e quando il marchio del Biscione decise di tentare l’avventura della Formula Uno, Vittorio venne incaricato di portare avanti i collaudi e i test della vettura in vista del debutto che sarebbe avvenuto nel 1979.
Malauguratamente, però, un destino avverso lo attendeva: nel Settembre del 1978 sulla amata pista di casa, la carambola alla partenza, che costò la vita allo svedese Peterson, segnò definitivamente la sua carriera. Uno pneumatico con un pezzo di sospensione staccatosi da una delle vetture incidentate lo colpì in testa ferendolo gravemente.
Trasportato in coma all’ospedale Niguarda, Brambilla riuscì dopo una lunga convalescenza a riprendersi, ma nel frattempo l’Alfa Romeo, pur non dimenticando l’impegno da lui profuso e garantendogli una vettura per alcune gare nel campionato Mondiale, aveva ingaggiato il pilota bresciano Bruno Giacomelli per portare avanti il programma di sviluppo e il debutto nel Mondiale.
Nel 1980, ingaggiato a fianco di Giacomelli l’esperto e veloce francese Depailler, Vittorio si ritrovò ad essere terzo pilota, con poche possibilità di diventare pilota titolare. La morte di Depailler avvenuta durante test privati sul circuito di Hockenheim gli diede la possibilità di disputare le ultime due gare della sua carriera.
Ma ormai deluso e demotivato, i risultati furono deludenti e al suo posto venne ingaggiato per concludere la stagione il giovanissimo Andrea De Cesaris. Annunciato il ritiro si dedicò a preparare le vetture di F3 rimanendo sempre nell’ambiente con un ruolo molto riservato, tipico del personaggio poco amante dei riflettori, fino alla scomparsa avvenuta a sessantatré anni, quando un infarto portò via un grande pilota ed un uomo generoso.